23 feb 2010

Recensione "a Rose" di Stefano Panunzi

Come già anticipato, Giancarlo partecipa nel brano "The Bridge".
Abbiamo avuto modo di ascoltare con attenzione l'intero lavoro e vi proponiamo, in anteprima, la nostra recensione. I complimenti vanno tutti a Stefano Panunzi...





Stefano Panunzi

a Rose


Emerald Recordings
2010

A cinque anni dal raffinato esordio solista (Timelines) e a soli pochi mesi dal suo coinvolgimento nel super-gruppo Fjieri (di cui è uno degli assi cardinali), il tastierista Stefano Panunzi, trova finalmente il momento propizio per la pubblicazione del suo secondo lavoro, a Rose. Come per Timelines e Endless (il cd dei Fjieri), anche questo a Rose, si avvale di una folta lista di talentuosi musicisti, tutti aventi una comune sensibilità artistica: ciò permette all’album di risultare verace anche nelle collaborazioni nate a distanza e di non trasmettere alcun senso di artificiosità. Il grande merito di Panunzi, oltre a quello di avere dalla sua una rara finezza compositiva, è quello di saper perseguire equilibri delicatissimi, realizzando architetture di grande complessità ma con materiali leggeri e dalle forme fluide. Spesso ho letto il nome di Panunzi associato al genere Progressive: francamente non riesco a intravedere in lui alcun atteggiamento che invece è comune a chi, consapevolmente o no, è iscritto nelle fila di quel genere. Panunzi non eccede in virtuosismi o protagonismi: la sua arte è altrove, semmai nell’orchestrazione (o più spesso nei dettagli minuti), ma sa fare sempre un passo indietro favorendo comunque la funzionalità espressiva dell’insieme: alla fine del disco, non sapendo a priori quale sia il suo strumento d’elezione, si potrebbe anche non intuire che si tratti del lavoro di un tastierista. E questo è per me un pregio assoluto

E’ poi pressoché impossibile trovare un keyboard-player dell’area progressive che riesca adeguatamente o credibilmente ad essere non dico moderno ma, almeno, contemporaneo. Panunzi ha un gusto prettamente contemporaneo o, tutt’al più, legato a quel contemporaneo classicismo a cui appartengono quei musicisti che si muovono trasversalmente fra elettronica/jazz/ambient/new-wave/sperimentazione/rock-psichedelico/canzone d’autore, alcuni dei quali danno fattivamente vita a questo disco (Andrea Chimenti, Tim Bowness dei no-man, Mick Karn, il flautista Theo Travis, Giancarlo Erra dei NoSound, Thomas Leer, Markus Reuter dei Centrozoon e degli Europa String Choir, il trombettista Mike Applebaum), mentre altri, pur non presenti in a Rose, sono “idealmente” coinvolti, essendo parte integrante delle atmosfere e delle ispirazioni che ne sottendono all’universo sonoro (David Sylvian, David Torn, i Tuxedomoon, i Rain Tree Crow, Richard Barbieri, i Talk Talk, Brian Eno, Robert Fripp).

Rispetto a Timelines, Panunzi pare voler rifuggire dalla componente più rock (probabilmente definitivamente confluita o, semplicemente, appagata nel progetto Fjieri), cercando invece altre vie di percorrenza, forse meno agevoli nei primi ascolti, ma più personali non appena si riesce a sintonizzare il proprio respiro con quello di a Rose. Ed è così che la sublime bellezza di Child Of Your Time (così suggestivamente interpretata da Sandra O’ Neill, già apprezzata in Timelines e nel duo Alias Grace) si rivela in tutta la sua essenza. Oppure in quel luminosissimo crepuscolo, carico di eccitazione, costituito dall’altissima I Miss You, nel quale, fra gli altri, ritroviamo Andrea Chimenti alla voce e Mick Karn al basso. Anche la vocalità di Tim Bowness trova sempre nelle atmosfere di Panunzi un ideale porto di approdo: e così da questo approdo, Fades appare un altro perfetto angolo di introspettivo incanto. Unreality è invece uno strumentale in grado di ergersi a vertice e vertigine dell’intero lavoro. Notevole anche quell’incantesimo ritmico di On-Line Now!, condotto dal basso funk di Mick Karn, e guidato in territori alt-jazz dalla tromba di Mike Applebaum. The Bridge, fra le tante convergenze artistiche di a Rose, è quella che in qualche misura appare la più omogenea, organica: Giancarlo Erra dei NoSound, presta voce, chitarra e un testo sul quale i timbri emozionali delle tastiere si stagliano sollevando l’anima per poi lasciarla libera. Lights And Shades, tra evanescenti note di piano e solenni accordi, tra i palpiti di una batteria quasi marziale e i giri del violoncello, ci congeda da a Rose con il desiderio di ricominciare tutto da capo. Magari dopo qualche minuto di meditabondo silenzio.

Ci sono casi in cui l’esperienza sulle spalle, nelle dita, non corrisponde alla volontà di mettersi sotto le luci e di dispensare saggi delle proprie capacità: Stefano Panunzi rientra in questa rarissima casistica: la sua esperienza è tutta tesa alla luce soffusa, diffusa. In questo non è imbarazzante rivolgersi a lui con l’appellativo di Maestro. Li riconoscete dai loro frutti, diceva qualcuno. Qui la messe è ricca ed è matura.

Ormai si può dire che quella consonanza artistica che si è sviluppata attorno “al giro” di Burning Shed (ossia quell’esperienza unica che è allo stesso tempo label e on-line shop), ha dato origine e via ad una virtuale (ma reale nei risultati) aggregazione tra musicisti ispirati da una idea “alta” di pop. Questa aggregazione si è concretamente estesa al nostro paese, permettendo a composititori come Stefano Panunzi e a Giancarlo Erra, di far arrivare la loro prospettiva sonora laddove sarebbe stato altrimenti impossibile e consentendo, contestualmente, ad (attenti) ascoltatori di tutto il mondo di dirigere, con convinzione, le loro orecchie.

Stefano Fasti
[questa recensione è pubblicata sul sito www.storiadellamusica.it che invitiamo vivamente a visitare]

http://www.stefanopanunzi.it/
www.myspace.com/stefanopanunzi
http://www.emeraldrecordings.com/
http://www.burningshed.co.uk/

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