23 feb 2010

Recensione "a Rose" di Stefano Panunzi

Come già anticipato, Giancarlo partecipa nel brano "The Bridge".
Abbiamo avuto modo di ascoltare con attenzione l'intero lavoro e vi proponiamo, in anteprima, la nostra recensione. I complimenti vanno tutti a Stefano Panunzi...





Stefano Panunzi

a Rose


Emerald Recordings
2010

A cinque anni dal raffinato esordio solista (Timelines) e a soli pochi mesi dal suo coinvolgimento nel super-gruppo Fjieri (di cui è uno degli assi cardinali), il tastierista Stefano Panunzi, trova finalmente il momento propizio per la pubblicazione del suo secondo lavoro, a Rose. Come per Timelines e Endless (il cd dei Fjieri), anche questo a Rose, si avvale di una folta lista di talentuosi musicisti, tutti aventi una comune sensibilità artistica: ciò permette all’album di risultare verace anche nelle collaborazioni nate a distanza e di non trasmettere alcun senso di artificiosità. Il grande merito di Panunzi, oltre a quello di avere dalla sua una rara finezza compositiva, è quello di saper perseguire equilibri delicatissimi, realizzando architetture di grande complessità ma con materiali leggeri e dalle forme fluide. Spesso ho letto il nome di Panunzi associato al genere Progressive: francamente non riesco a intravedere in lui alcun atteggiamento che invece è comune a chi, consapevolmente o no, è iscritto nelle fila di quel genere. Panunzi non eccede in virtuosismi o protagonismi: la sua arte è altrove, semmai nell’orchestrazione (o più spesso nei dettagli minuti), ma sa fare sempre un passo indietro favorendo comunque la funzionalità espressiva dell’insieme: alla fine del disco, non sapendo a priori quale sia il suo strumento d’elezione, si potrebbe anche non intuire che si tratti del lavoro di un tastierista. E questo è per me un pregio assoluto

E’ poi pressoché impossibile trovare un keyboard-player dell’area progressive che riesca adeguatamente o credibilmente ad essere non dico moderno ma, almeno, contemporaneo. Panunzi ha un gusto prettamente contemporaneo o, tutt’al più, legato a quel contemporaneo classicismo a cui appartengono quei musicisti che si muovono trasversalmente fra elettronica/jazz/ambient/new-wave/sperimentazione/rock-psichedelico/canzone d’autore, alcuni dei quali danno fattivamente vita a questo disco (Andrea Chimenti, Tim Bowness dei no-man, Mick Karn, il flautista Theo Travis, Giancarlo Erra dei NoSound, Thomas Leer, Markus Reuter dei Centrozoon e degli Europa String Choir, il trombettista Mike Applebaum), mentre altri, pur non presenti in a Rose, sono “idealmente” coinvolti, essendo parte integrante delle atmosfere e delle ispirazioni che ne sottendono all’universo sonoro (David Sylvian, David Torn, i Tuxedomoon, i Rain Tree Crow, Richard Barbieri, i Talk Talk, Brian Eno, Robert Fripp).

Rispetto a Timelines, Panunzi pare voler rifuggire dalla componente più rock (probabilmente definitivamente confluita o, semplicemente, appagata nel progetto Fjieri), cercando invece altre vie di percorrenza, forse meno agevoli nei primi ascolti, ma più personali non appena si riesce a sintonizzare il proprio respiro con quello di a Rose. Ed è così che la sublime bellezza di Child Of Your Time (così suggestivamente interpretata da Sandra O’ Neill, già apprezzata in Timelines e nel duo Alias Grace) si rivela in tutta la sua essenza. Oppure in quel luminosissimo crepuscolo, carico di eccitazione, costituito dall’altissima I Miss You, nel quale, fra gli altri, ritroviamo Andrea Chimenti alla voce e Mick Karn al basso. Anche la vocalità di Tim Bowness trova sempre nelle atmosfere di Panunzi un ideale porto di approdo: e così da questo approdo, Fades appare un altro perfetto angolo di introspettivo incanto. Unreality è invece uno strumentale in grado di ergersi a vertice e vertigine dell’intero lavoro. Notevole anche quell’incantesimo ritmico di On-Line Now!, condotto dal basso funk di Mick Karn, e guidato in territori alt-jazz dalla tromba di Mike Applebaum. The Bridge, fra le tante convergenze artistiche di a Rose, è quella che in qualche misura appare la più omogenea, organica: Giancarlo Erra dei NoSound, presta voce, chitarra e un testo sul quale i timbri emozionali delle tastiere si stagliano sollevando l’anima per poi lasciarla libera. Lights And Shades, tra evanescenti note di piano e solenni accordi, tra i palpiti di una batteria quasi marziale e i giri del violoncello, ci congeda da a Rose con il desiderio di ricominciare tutto da capo. Magari dopo qualche minuto di meditabondo silenzio.

Ci sono casi in cui l’esperienza sulle spalle, nelle dita, non corrisponde alla volontà di mettersi sotto le luci e di dispensare saggi delle proprie capacità: Stefano Panunzi rientra in questa rarissima casistica: la sua esperienza è tutta tesa alla luce soffusa, diffusa. In questo non è imbarazzante rivolgersi a lui con l’appellativo di Maestro. Li riconoscete dai loro frutti, diceva qualcuno. Qui la messe è ricca ed è matura.

Ormai si può dire che quella consonanza artistica che si è sviluppata attorno “al giro” di Burning Shed (ossia quell’esperienza unica che è allo stesso tempo label e on-line shop), ha dato origine e via ad una virtuale (ma reale nei risultati) aggregazione tra musicisti ispirati da una idea “alta” di pop. Questa aggregazione si è concretamente estesa al nostro paese, permettendo a composititori come Stefano Panunzi e a Giancarlo Erra, di far arrivare la loro prospettiva sonora laddove sarebbe stato altrimenti impossibile e consentendo, contestualmente, ad (attenti) ascoltatori di tutto il mondo di dirigere, con convinzione, le loro orecchie.

Stefano Fasti
[questa recensione è pubblicata sul sito www.storiadellamusica.it che invitiamo vivamente a visitare]

http://www.stefanopanunzi.it/
www.myspace.com/stefanopanunzi
http://www.emeraldrecordings.com/
http://www.burningshed.co.uk/

18 feb 2010

NoSound? No Fashion...

Disponibili le nuovissime t-shirt dei NoSound, personalmente disegnate da Giancarlo.
Noi le abbiamo acquistate al concerto e possiamo dirvi che la qualità del tessuto e della stampa sono altissime.
Possono ancora essere acquistate qui: http://www.burningshed.com/store/nosound/multiproduct/44/1641/
Per l'occasione sono previsti "pacchetti speciali" a prezzi speciali di "A Sense Of Loss" (versione digipack CD+DVD) + t-shirt.

16 feb 2010

Giancarlo Erra sul nuovo album di Stefano Panunzi...

Come era già accaduto nel precedente “Timelines” (2005), Giancarlo Erra è presente come special guest anche nel nuovo album di Stefano Panunzi dal titolo “A Rose” (http://www.burningshed.com/store/stefanopanunzi/product/60/1884/): la collaborazione si riferisce al brano The Bridge, il cui testo è proprio scritto da Giancarlo. Sul brano inoltre Erra suona la chitarra e canta.


Per ulteriori info: http://www.myspace.com/stefanopanunzi

15 feb 2010

NOSOUNDS LIVE @ CROSSROADS - Le foto !!!

Ciao a tutti,
ecco a voi le prime foto del concerto tenutosi al Crossroads. Ringraziamo Stefano Fasti, Luca Fiaccavento, manuspi, rosco57 e nimahel per il materiale.
A breve altre foto e filmati !!!!

Queste le foto di Stefano Fasti:


Ecco le foto di Luca Fiaccavento:





















Ecco le foto di manuspi:





















Ecco le foto di rosco57:






















Ecco le foto di nimahel:





















13 feb 2010

NOSOUND LIVE @ CROSSROADS, OSTERIA NUOVA (RM), 12/02/2010

E nel freddo giorno del ritorno della neve a Roma (gli imbiancati ricordi del 1986 hanno sempre un posto speciale nella memoria di chi li ha attraversati), i NoSound danno vita al loro concerto più caldo della loro carriera.


Un concerto sudato, intenso dalle prime note fino alle ultime. Sul palco il quintetto “classico” (Giancarlo Erra alla voce e, insieme a Paolo Vigliarolo, alle chitarre, Paolo Martellacci alle tastiere, Alessandro Luci al basso, Gigi Zito alla batteria) si fonde con il Wooden String Quartet (anch’esso nella “classica” configurazione due violini, viola, violoncello) si fondono per la realizzazione di quell’equilibrio che da origine all’intera esecuzione dell’ultimo album A Sense Of Loss (KScope/Audioglobe 2009): sia da parte degli musicisti, sia da parte del pubblico l’attenzione diventa elemento imprescindibile. Rispetto alla versione in studio ovviamente la performance trasfigura i suoni e i timbri, restituendo differenti e nuovi NoSound, fedeli in tutto e per tutto alle linee melodiche, ma senza quell’ansia di riappropriarsi in modo (troppo) fedele di quanto inciso. Con questo approccio, comincio seriamente a credere sempre di più che, d’ora in avanti, (co)esisteranno queste due anime dei NoSound: quella dei perfezionisti del missaggio e quella, maggiormente improvvasitiva, pronta ad assecondare ogni fertile variazione, che, per ragione di cose, avrà vita solo sopra un palco. Quindi è inutile dire che tutti i membri dei NoSound stanno, anno dopo anno, concerto dopo concerto, prendendo sicurezza delle proprie possibilità espressive/strumentali, in grado di caratterizzarli come singoli e come parte di un gruppo. Più avranno modo di concentrarsi sul lavoro della loro musica, più avranno modo di suonare-suonare-suonare, più questi frutti diventeranno sempre più maturi. Dall’arioso incedere di Some Warmth Into This Chill (caspita che titolo appropriato per la giornata!), alle floyidiane escursioni di Fading Silently (una chiusura da stringere il cuore: delicato assolo di chitarra con crescendo del quartetto d’archi), dalle armonie dolorose di Tender Claim, all’outing emozionale di My Apology, fino giù in fondo alla sospesa Constant Contrast e ancora di più, giù in fondo, fino al nero cuore pulsante di A Sense Of Loss, ossia la cavalcata (tra sofferenza cosmica e l’apertura alla siderale luce della speranza) di Winter Will Come, tutto scorre, incredibilmente veloce (e dire che sono passati 55 minuti...), sensa sosta, senza cedimento, senza interruzione del flusso sensibile della materia sonora. Non è ancora finita la coda scandita, marzialmente, dalla marcia ritmica di Winter Will Come, che già si sente il rimpianto per l’approssimarsi della chiusura di un evento unico. Il secondo set (che fa a meno del Wooden String Quartet) si apre con un ripescaggio dal passato (sembra ieri e invece sono passati cinqe anni da quel Sol29, del quale costituiva l’opener), In The White Air: oggi è più suadente, più rock, più “interattiva” nell’interplay fra i musicisti. Places Remained a seguire, è il solito solidissimo pezzone di perfetto new psychedelic rock, capace di scuotere il pubblico, introducendo al sound dei NoSound (scusate il gioco di parole...), anche chi non aveva già trovato una “sua” porta di accesso. From Silence To Noise, è l’altro asse cardinale nell’immaginario e nella discografia del gruppo, costituendo la sintesi delle loro tante essenze (quella che si richiama ai Pink Floyd, quella che si dipana tra i rivoli dell’Ambient, quella eterea, quella concreta). Il secondo atto si chiude con quello standard “della prima ora” che è ormai diventato Idle End, tutto giocato sul canto reiterato e l’arpeggio in crescendo, fino al lungo assolo finale molto dreamy. I volti di queste canzoni sono cresciuti con quelli dei componenti dei NoSound: le rughe non hanno portato a escogitare trucchi per nasconderli, ma hanno invece fatto scaturire un nuovo modo di esistere.

Per il bis, ancora l’approccio corale, con il ritorno del Wooden String Quartet, per l’esecuzione di quel brano capitale che è Kites (da Lightdark), in grado di rivelare l’intero universo musicale della formazione, e dello strumentale The Moment She Knew, ormai eletto a brano-formula di questa esperienza, a mio avviso rara e riuscita, di equilibrio fra post-rock, ambient e rock psichedelico, che coincide con il nome stesso dei NoSound.

Come ultimo dono una opportuna riproposizione di Some Warmth Into This Chill, che ripetuta alla fine risente di un ulteriore miglioramento, condensando tutta la scioltezza e il calore ormai guadagnato.

Come altre volte, più di altre volte auspico, anzi noi di Invisible Bane auspichiamo, ai NoSound di poter realizzare il sogno di una meritata tournée. E’ veramente un peccato che solo poche centinaia di eletti abbiano modo di assistere ai loro concerti. Ad ogni modo, sono ben felice di essere fra questi...

Stefano Fasti


Setlist:


Act 1:

A Sense Of Loss

Some Warmth Into This Chill
Fading Silently
Tender Claim
My Apology
Constant Contrast
Winter Will Come

Act 2:
In The White Air
Places Remained
From Silence To Noise
Idle End
Encores:
Kites
The Moment She Knew
- -
Some Warmth Into This Chill

[Questa recensione appararirà anche sul sito http://www.storiadellamusica.it/]

12 feb 2010

Cronache dalla sala prove...

...Ieri ho avuto l'onore di presenziare (as usual) alle prove generali per il concerto di questa sera. Non c'era il quartetto d'archi e il gruppo ha testato la sua coesione come quintetto, tra il serio e il faceto. Una sorta di esorcismo finale come è loro solito per sciogliere i momenti di tensione. Della scaletta non vi "rivelo" nulla, tranne il fatto che mi è parsa funzionare alla perfezione, specialmente nella scelta e nell'alternanza dei brani. Vi dirò la verità: penso che una scaletta del genere avrebbe pienamente valore anche se eseguita dal quintetto. Comunque chi verrà, NONOSTANTE LA NEVE (Giancarlo potevi lasciarla in U.K....), assisterà davvero a un concerto unico. Anche i brani "cardinali" dei due album precedenti saranno nella setlist. La prima parte del set avrà una impostazione molto teatrale, nella tipologia dei concerti dei Sig Ros con le Amina.

Stefano    

3 feb 2010

NOSOUND in concerto !! A Sense Of Loss live (feat. Wooden Quartet)



Ciao a tutti !

Volete una splendida occasione per ascoltare dal vivo il nuovo album dei NOSOUND "A Sense Of Loss" ??
Non potete perdervi il concerto di Venerdi 12 Febbraio 2010 all XRoads Live Club di Roma!

Vi segnaliamo che la performance dell'intero album verra' eseguita dai NOSOUND insieme al quartetto d'archi WOODEN QUARTET !
Inoltre verra' eseguito un secondo set con brani tratti dai precedenti album e..... qualche sopresa !

Il biglietto ha un costo di 10,00 euro + diritti di prevendita, e ad un numero limitato di persone  dara' diritto ad uno "special package" che include:

- Posto riservato nelle prime file
- Ingresso anticipato per soundcheck e meet & greet con la band
- Download gratuito della traccia "Fading Silently"
- Uno speciale badge personalizzato appositamente per l'evento

Per avere diritto all'offerta e' necessario:
- acquistare il biglietto online (vedi piu' avanti i dettagli)
- mandare email con nome e numero del biglietto a xroadsliveclub@yahoo.it.

Direi che e' una proposta eccezionale, che vi permettera' di gustare il concerto nelle prime file e di ottenere un download gratuito ed un ricordo della serata, che ovviamente..... diventera' da collezione !
Ecco i dettagli:

Data                : Venerdi 12 Febbraio 2010
Apertura porte      : ore 21.00
Inizio concerto     : ore 22.00
Prezzo dei biglietti: 10,00 euro + d.p.
Prevendite su       : GREENTICKET 
Venue               : XROADS Live Club,
                      Via Braccianese 771
                      00060 Osteria Nuova
                      (Roma)
                      Telefono 06.3046645
Scheda dell'evento  : clikkare qui !
Mappa per arrivare  : clikkare qui !

Recensione su A Sense Of Loss - by Stefano Fasti

Amici, in occasione del nuovo (e terzo !)  lavoro in studio dei nosound, eccovi la recensione di Stefano Fasti pubblicata su Storia Della Musica:

Il traguardo del terzo album per i Nosound non rappresenta soltanto il naturale proseguimento in un percorso discografico, ma segna un tal cambio di passo che fa sembrare il precedente lavoro in studio lontanissimo, molto di più quanto sia in realtà la distanza temporale trascorsa.



Nei due anni passati da "Lightdark" (2007) la band ha addensato esperienze tali da accelerare il normale processo di crescita: un ruolo fondamentale lo ha giocato sicuramente l’incontro del leader Giancarlo Erra con Tim Bowness (voce e anima melodica dei No-Man e patron della label Burning Shed), ma anche la natura stessa di Erra, che lo ha guidato a non accettare compromessi lontani dagli alti standard professionali che si era prefissato. L’accasamento nella scuderia KScope è stato il raggiungimento di un obiettivo che qualche anno fa sarebbe sembrato solo un sogno.



E invece "A Sense Of Loss" è un sogno divenuto realtà: la band, stabile nella formazione (Erra, Paolo Martellacci, Alessandro Luci, Gigi Zito, Paolo Vigliarolo), oltre ad aver raggiunto una consonanza sonora completa si è aperta all’innesto di un quartetto d’archi (il Wooden Quartet, diretto da Enrico Razzicchia) che gioca un ruolo importantissimo nella risoluzione dei brani: così laddove per un qualsiasi chitarrista sarebbe stato impossibile rifuggire dalla tentazione di un assolo, Giancarlo dimostra come sia possibile riuscire a eludere ogni cliché rock senza perdere un grammo di energia, di pathos, di totale pienezza. "A Sense Of Loss" non è un disco rock e neppure post-rock (come si dice da più parti): "A Sense Of Loss" è un disco denso, stratificato, dotato di una dimensione sonora profondissima, il cui impatto è notevole anche in brani in cui la chitarra elettrica non c’é affatto e in cui la batteria o è assente o ha un ruolo apparentemente marginale. E’ un poderoso autoritratto di un’anima dolente (appunto quella di Erra, compositore unico e suggeritore unico degli altri attori protagonisti del suo malinconico teatro sonoro), un’anima stavolta in grado di denudarsi interamente, per permettere ad ogni singolo brano di essere una rivelazione.



E ogni brano lascia il segno, in quello che potrebbe essere un album a tema sul distacco (amoroso, umano) e sul superamento dello stesso. La visione dominante della sua musica evolve da quel concetto di raffinatezza crepuscolare dei citati No-Man, dalle suggestioni fra ghiaccio e fuoco trasmesse dai Sigur Ros, dalle lente insurrezioni emozionali dei Bark Psychosis, da radici lontane come quelle dei percorsi di ricerca timbrica inaugurati da David Sylvian o da Brian Eno. Ma si tratta di evanescenti impressioni, che sfumano non appena ci si immerge nella musica. Nel precedente "Lightdark" c’era già il “ponte” verso "A Sense Of Loss" e questo ponte si chiamava Kites. Da lì scaturisce tutto il senso del nuovo lavoro: ogni composizione corrisponde a uno stadio di evoluzione nella modalità di espressione del dolore. Una scultura musicale modellata attorno alla sofferenza.



Ogni traccia è dunque un solco impresso, fino alla lunga cavalcata finale (Winter Will Come), nella quale l’abbandono cantato, suonato, è assoluto, ineluttabile, definitivo. Ma necessario, come necessario è l’ascolto di "A Sense Of Loss". Un album distante da mode, che rifugge da qualsiasi facile inquadramento, nel momento in cui sembra messo a fuoco. Una unica avvertenza: il disco richiede l’ascolto integrale e il coraggio di sintonizzare le proprie vicende emozionali con quelle narrate, cantate, suonate, nel tentativo di esorcizzare non i fantasmi, ma la realtà.

E c'e' anche a disposizione un video su Youtube: "Constant Contrast"

Recensione su Lightdark - by Stefano Fasti


Cari amici, eccovi una nuova recensione di Stefano Fasti sul secondo lavoro in studio dei nosound, pubblicata su Ondarock e su Wonderous Stories:

Tornano i Nosound, a tre anni di distanza dal debutto di "Sol29". La prima notizia immediatamente rilevabile è che oggi possiamo parlare e scrivere utilizzando il plurale: i Nosound di "Lightdark" (accolto nella sofisticata scuderia della Burning Shed) non esistevano quando "Sol29" ha preso vita. Nosound equivaleva al progetto solista di Giancarlo Erra, un chitarrista/tastierista in grado di comporre piccole sinfonie minimali, senza mai seguire il trasporto verso l’assolo a cui spesso tanto i tastieristi quanto i chitarristi, sin troppo frequentemente, non sanno resistere. Ma attraverso una lunga esperienza live, Erra ha trovato dei sodali (mai semplici gregari) capaci di condividere quell’idea musicale e di realizzarla con un suono finalmente completo, senza tuttavia stravolgere le istanze iniziali.

E così in ogni piega, in ogni interstizio di "Lightdark", in ogni sua gradazione di colore si rivela l’essenza attuale di una formazione che non rinnega le proprie influenze e che cerca, a suo modo, una propria via di espressione senza il desiderio enfatico di stupire con effetti speciali. A governare questo microuniverso è una psichedelia intrisa di minimalismo, capace di spinte ascensionali come di rarefazioni discendenti, che inaugura un unicuum in cui la vena malinconica è forse il vero filo conduttore. Una ipotesi concreta di sincretismo fra i No-Man, i Bark Psychosis, i Pink Floyd, Brian Eno (con Moebius e Roedelius), David Sylvian, i Marillion di Steve Hogarth, i Sigur Rós, resa maggiormente concreta dalla coesione fra i membri del gruppo.

Le propulsioni di puro rock floydiano di "Places Remained" danno lo strappo iniziale e aprono, come un coltello, una ferita nel tessuto emotivo su cui un brano cardinale come "Someone Starts To Fade Away" (con Tim Bowness dei No-Man alla voce) sparge, con fare suadente, manciate di sale. L’eredità del miglior progressive (non la figura retorica costituita dal "calderone progressive", ma la vera intima essenza del progressive, fatta di stupore emotivo, non di clamore tecnico) spiega le proprie ali nella lunga "From Silence To Noise", innalzandosi a livelli non propriamente consueti al prog e, allo stesso tempo, inconcepibili al post-rock (i cui lidi pure vengono lambiti dai Nosound): reminiscenze di cose, ore, giorni, volti, innocenze, sogni forse mai dimenticati, eppure sepolti dal peso degli anni, ma tangibili nei colori e negli odori, riappaiono sotto forma di fantasmi custodi.

Le sylvianiche evaporazioni di "The Misplay" (e del piano e del violoncello che ad esse danno il soffio di vita) sospingono poi i ricordi in un limbo atemporale dove il fiume del passato si disperde nei mille rivoli dei futuri possibili. Prepotentemente poi "Kites", altro brano capitale, rivela in toto una idea, una visione, un modo di concepire la musica che non ha paura di esporsi al vento, alle correnti, ai confronti, senza il timore di questa esposizione permanente dei sentimenti e senza alcun pudore per questa nudità dell’anima. "Lightdark" sa essere anche clemente e anziché lasciare l’ascoltatore in questo stato di commozione sensoriale, sa concedere la pacificazione con una title track che è una invocazione ambient alle alte sfere del cosmo.

Recensione su Sol29 - by Stefano Fasti



Eccovi la recensione pubblicata su Wonderous Stories da Stefano Fasti relativamente al primo album dei nosound:

A pochi mesi di distanza dall'EP promozionale che sanciva il passaggio verso una maggiore visibilità, il progetto NoSound esce allo scoperto con quello che costituisce di fatto il suo primo album. Sotto il criptico titolo di Sol29 vengono chiamati a raccolta, oltre ai pezzi facenti parte dell'EP citato, una serie di composizioni di natura meditabonda, dal respiro profondo e in sintonia con le affinità ambient-psichedeliche del compositore Giancarlo Erra. La valenza "ambient" di NoSound non ha però come obiettivo quello di colorare timidamente un panorama: i toni sono caldi e intensi e il lavoro è elaborato nelle trame sonore e frutto di un lungo impegno di scrittura. Un episodio chiave si rivela essere, sin da un primo ascolto, lo strumentale The moment she knew (seguito dalla coda Waves of time). Uno dei migliori brani del disco è però, secondo i gusti di chi scrive, Overloaded, una ballad malinconica che prende avvio sotto un anelito di Mellotron e si sviluppa con la chitarra acustica a sorreggere un canto delicato e sospeso, con un climax centrale, degno della conclusione di Entangled dei Genesis: da stringere il cuore. Idle end avevamo già avuto modo di apprezzarla sull'EP dello scorso anno, ma ancora oggi non smette di trasmetterci emozioni specialmente nel fluido ed etereo assolo di chitarra, così come anche Hope for the future, che dopo tanta bellezza pare voler pacificare l'anima. La title-track ci porta poi, nel finale, in un limbo fatto di una luce abbacinante e completamente avvolgente, con riverberi non dissimili dalle luminosità di David Sylvian (vedi Darkest dreaming). Chi dei Porcupine Tree ama le atmosfere più dilatate e sommesse, ed è quindi in grado di apprezzare maggiormente i No-man, e in generale chi, per astrazione, dei Pink Floyd ama di più gli interludi di raccordo e le digressioni sonore che non i lunghi e enfatici assoli di chitarra, allora in questo disco troverà un luogo in cui adagiarsi per far volare (lontano) la propria immaginazione.
(Stefano Fasti)

2 feb 2010

Invisible Bane - Il fanclub italiano ufficiale e' online !!!

Ciao amici,

benvenuti su questo blog, che rappresenta (o almeno, ne ha tutta l'intenzione !)  il punto di riferimento per i fan italiani (e non !) dei nosound !

In questo blog troverete recensioni, notizie, foto, alcune succose anteprime, informazioni sui concerti e i biglietti, e quant'altro possa esservi d'aiuto per seguire in maniera tempestiva, aggiornata e da vicino Giancarlo Erra e la sua band !

E allora.... seguiteci a partire da oggi, e se avete qualche domanda non dovete fare altro che mandarci una mail a invisible.bane@gmail.com (o seguire il link in alto a destra "contattaci") !

Un caro saluto a tutti !